Pescara: gli arrosticini sono in ritardo? Nessun problema: Federico Pecorale spara e se la cava.

Cominciamo dall’inizio.
Federico Pecorale ha meno di trent’anni ma è già bello corpulento. Sarebbe stato meglio per la sua salute rimanere a casa a mangiare insalata e a bere acqua di rubinetto invece che andare al ristorante.
Siccome ha proprio deciso di andarci, sarebbe stato per lo meno costruttivo mantenervi un profilo composto, per non dire morigerato.
Invece.
Invece ha deciso di non tollerare l’arroganza degli immigrati che ci portano via il lavoro e siccome nasce una spinosa questione sugli arrosticini (pietanza difficilissima, si sa: sempre troppi o troppo pochi, troppo caldi o troppo freddi) e chi li porta era scuro di pelle e quindi colpevole senz’altro, cosa fa?
Spara e se la cava, che razza di domande.
D’altro canto chi può accampare indubbia superiorità di sangue -come attestano la corpulenza, la testa rasata e l’abbigliamento da sfaccendato globale ben evidenziati da quella telecamera che questo D’Annunzio in scarpdetènnis non aveva certo messo in conto- non è che può tollerare affronti del genere come se nulla fosse.
Quindi tira fuori la pistola e spara.
Cinque colpi contro Yelfri Guzman.

Poi scappa.
In taxi.
Credendo ovviamente di farla in barba a tutti quanti e di tornarsene tranquillo in Svizzera. Nella sua mente doveva essere una cosa del tipo Renato Vallanzasca contro l’Ispettore Zenigata.
Invece l’hanno beccato, e sarà una cosa tipo Tutto il Peso del Codice Penale contro grassoccio in tutina.
E ci sarebbe stato da stupirsi del contrario.

Il lavoratore colpito per fortuna ne è uscito vivo; ad attestare come il signorino Pecorale non sia un gran che nemmeno come tiratore.

A Francolino di Carpiano Salvatore Staltari spara e se la cava

La provincia lombarda opìma ed operosa riserva non-sorprese quante se ne vogliono. Sparare e cavarsela, e uscir di scena in una maniera tale da fare ribrezzo persino ai procuratori. Persino a chi viene a raccattare quello che rimane di te per toglierlo di mezzo, prima che grazie al sole di fine estate tu riesca a fare ulteriori danni.
Così non si capisce nemmeno cosa potessero averti mai fatto, Salvatore Staltari, quella Catherine Panis che aveva trent’anni meno di te e vostra figlia Stefania Staltari, che di anni ne aveva quindici.
Salvado’, scusa tanto, ma dalle foto che sono venuti a fare dopo che hai sparato -nel sonno, dicono- a due donne persino l’ingresso di casa tua riesce ad apparire scostante. Una casaccia con il nulla da una parte e i capannoni degli spedizionieri dall’altra, una specie di anticipo di inferno in cui forse certe idee verrebbero anche alla più posata e razionale delle persone. Sembra che nemmeno i servizi sociali volessero più avere a che fare con te a Francolino di Carpiano, a un tiro di schioppo dagli apericena milanesi e dal quadrilatero della moda.
Hai sparato e te la sei cavata, e con una di quelle pistole da film americano che sono il sogno di ogni provincialotto in là con gli anni ma prepotente e cialtrone come quando ne aveva undici o dodici e il massimo della vita era cercare di fracassare caviglie e ginocchia di chi osava contrastarlo sul campetto parrocchiale. Chissà come mai a settant’anni suonati eri ancora a diventar matto per mettere insieme qualche spicciolo.
Tra l’altro ti ci avevano anche già beccato, con armi che non avresti dovuto avere. Diciamo che non ti sei fatto mancare proprio niente.
Chissà se avevi anche un cane.
Avresti ucciso anche quello?
Ma no, forse no.

Voghera. l’assessore alla sicurezza Massimo Adriatici spara e uccide un uomo in piazza Meardi

Allora.

C’è un ricco ben vestito che si chiama Massimo Adriatici.
Che non è solo un ricco ben vestito (che già sarebbe quanto basta per tenersene alla larga) ma è anche assessorello alla sicurezzina a Voghera, dove si presume abbia fatto strage di suffragi tra le famose casalingue.
E come assessorello alla sicurezzina, va al bar armato.
Al bar litiga con un tizio -pare ci sia anche la solita scusa delle molestie a una ragazza- e molto logicamente gli spara.
Invece di dire le cose come stanno, vale a dire che ha ammazzato un marocchino così ce n’è uno di meno in giro -cosa che gli avrebbe fatto perdere qualche punto agli occhi di qualche cuore tenero, ma che gli avrebbe valso la rielezione al prossimo giro di ruota- si mette a cianciare di proiettili che partono accidentalmente.

Allora, ripetiamo insieme:

– Légionnaire, tu es un volontaire servant la France avec honneur et fidélité.
– Chaque légionnaire est ton frère d’arme, quelle que soit sa nationalité, sa race, sa religion. Tu lui manifestes toujours la solidarité étroite qui doit unir les membres d’une même famille.
– Respectueux des traditions, attaché à tes chefs, la discipline et la camaraderie sont ta force, le courage et la loyauté tes vertus.
– Fier de ton état de légionnaire, tu le montres dans ta tenue toujours élégante, ton comportement toujours digne mais modeste, ton casernement toujours net.
– Soldat d’élite, tu t’entraînes avec rigueur, tu entretiens ton arme comme ton bien le plus précieux, tu as le souci constant de ta forme physique.
– La mission est sacrée, tu l’exécutes jusqu’au bout et, s’il le faut, en opérations, au péril de ta vie.
– Au combat tu agis sans passion et sans haine, tu respectes les ennemis vaincus, tu n’abandonnes jamais ni tes morts, ni tes blessés, ni tes armes.

Bene: ora che ci siamo divertiti, andiamo a ripetere anche un’altra serie di norme, che nel suddetto simpatico e costruttivo sodalizio d’Oltralpe (dice ci si mangia male ma in compenso si dimagrisce) serve da colazione, pranzo, aperitivo e cena:

1. Une arme doit toujours être considérée comme chargée.
2. Ne jamais pointer ni laisser pointé le canon d’une arme sur quelqu’un ou quelque chose que l’on ne veut pas détruire.
3. Garder l’index hors de la détente tant que les organes de visée ne sont pas sur l’objectif.
4. Être sûr de son objectif et de son environnement.

Alla luce di quanto sopra, c’è il lieve sospetto che la realtà sia difforme dai raccontini dei ben vestiti. Specie di quelli di Voghera.
Ma teniamocelo per noi, per carità.

Roma. Paolino Paperino -pardon, Paolo Pirino- Valerio del Grosso e la brutta storia di una serata andata male

“Dunque allora no, ero co vValerio der Grosso che è ‘n amico mio che aho’ dde sopra e aho’ dde sotto e mo avémo fatto ‘na cazzata e c’è scappato er morto e ce hanno pijato tempo zzero perché semo du’ cojoni.
Mo’ sso ccazzi nostri, sémo pure ggiovani sperémo che ‘n galera nun sia come ‘n America ché artrimenti me sa che me butta male…”

Secondo un articolo de Il Messaggero, “Paolo Pirino su Facebook: tra pistole, scarface e tatuaggi. Tatuaggi, armi, Scarface, lo sguardo di sfida. Il profilo Facebook di Paolo Pirino, uno dei due fermati per la morte di Luca Sacchi, è un inno alla filosofia del ‘gangsta’ di periferia in chiave Gomorra. La foto che campeggia sulla pagina è di tre incappucciati armati e ancora più giù foto di uomini con mitra e pistole. Ed è una pistola spianata quella che Pirino ha tatuata sul petto assieme all’immagine di tre donne. Tatuaggi che Pirino sfoggia in più foto, come quello sulla mano sinistra, l’anno di nascita – 1998 – e l’effigie della Madonna. Poi tanti post con canzoni neomelodiche e frasi ad effetto e foto che ritraggono Pirino in atteggiamenti da duro, jeans strappati e giubbotti di pelle.”
Il ritratto di un cialtrone della mala latinoamericana di due generazioni fa, insomma. Uno che degli altri se ne frega, per suo stesso vanto ed ammissione.
Fra spese processuali, provvisionale e mantenimento in carcere lo ridurranno in condizioni tali che per comprare crackers e tonno in scatola dovrà aspettare i saldi.
Poi ci sarà il risarcimento in sede civile.

Aho’.

Io sparo e me la cavo – 7

O meglio: io sparo e non solo non me la cavo, ma finisco col cacciarmi in uno di quei pasticci che grande la metà sarebbe già anche troppo.
Il ritratto che i giovani Daniel Bazzano e Lorenzo Marinelli pubblicizzano di sé li fa ascrivere di diritto all’umanità suscettibile e sfaccendata che frequenta ripostigli, pollai, capanni per gli attrezzi e cortili di periferia.
Oltre a frequentare le parti intime di qualche loro pari di sesso opposto: pare che entrambi si fossero riprodotti da poco.
Qualche incosciente che se lo fa cacciare in corpo da gente simile pare pazzesco ma c’è sempre.
Corpi sconciati dai tatuaggi, abbigliamento da buoni a nulla latinoamericani e probabilmente passioni e hobby altrettanto irritanti.
Nel loro caso la periferia è quella romana di Acilia, non quella brazileira di Rio de Janeiro dove con l’aria che tira avrebbero rischiato di essere bruscamente congedati dalla vita ad opera di qualche reparto paramilitare prima di arrivare a diciott’anni.
Una sera di febbraio pare abbiano avuto la peggio in una di quelle risse da bar che sono roba d’ogni giorno per quelli come loro, maturata in un contesto tale che in Questura stanno pensando di risolvere il problema imponendo la serrata dell’esercizio commerciale.
Dopo un po’ hanno sparato tre proiettili in una piazza di Roma e hanno ferito gravemente Manuel Bortuzzo. Che rimarrà paralizzato.
Lo hanno “colpito per errore”, dicono, dopo “aver pianto per tutto l’interrogatorio”.
Il loro futuro si annuncia talmente poco allegro che probabilmente queste lacrime saranno le prime di una copiosa quantità.
Fra i tatuaggi che impestano l’epidermide di uno dei due, la scritta “tutto passa”, in pieno petto.
In galera avrà tempo di farla sparire, col vecchio sistema del sale grosso.
E per mettere insieme il denaro che gli sarà indispensabile per il processo e per i risarcimenti potrà ben considerare l’idea di posare per il monumento al cialtrone.
Il fisico e tutto il resto sono perfettamente confacenti.

Io sparo e me la cavo – 6

Uno che lavora sul serio tutto il giorno, alzandosi prima dell’alba e rincasando disfatto dopo una decina di ore abbondanti, penserebbe ai broker come a gente con il doppiopetto e la bombetta che fa avanti e indietro con Londra in business class e che in genere non rischia di finire fra gli utenti della Caritas diocesana.
Poi si apre un giornale qualsiasi e viene fuori che il broker si può fare anche a Paternò (Catania) invece che a Kensington.
Come Gianfranco Fallica, che a trentacinque anni aveva moglie, due figli, e quell’inizio di calvizie che rassicura tanto le donne, i clienti e i capufficio.
L’affidabilità fatta persona: chi si sognerebbe di negargli una pistola e magari più di una, dopotutto lavora col denaro e con gente che non si sa mai come potrebbe reagire quando la borsa perde mezzo punto.
Insomma, un qualsiasi giorno di dicembre Gianfranco Fallica prende una pistola (“legalmente detenuta”, sottolineano sempre; come se facesse qualche differenza), uccide la moglie, uccide i figli e si suicida.
E perde tutti i punti.

Io sparo e me la cavo – 5

Fredy Pacini fa il gommista a Monte San Savino.
Mircea Vitalie fa il ladro dove capita.
Fredy Pacini di ladri se ne intende perché gli sono entrati in ditta diverse volte e sono cose seccanti.
Mircea Vitalie non sa che Fredy Pacini di ladri se ne intende e gli entra in ditta per fargli cose seccanti.
Fredy Pacini non si fa seccare un’altra volta e provvede lui a far secco Mircea Vitalie.
Risultato, un ladro morto e un gommista che ha sparato.
E che col senno di poi (di due secondi dopo, diciamo) ne avrebbe fatto a meno volentieri.
Perché la propaganda è una cosa, la vita è un’altra.

Io sparo e me la cavo – 4

Marianna Pepe sparava e se la cavava.
Se la cavava alla grande come tiratrice: medaglie a tutto spiano.
E caporal maggiore dell’esercito.
Poi si è messa con uno che per sua fortuna non doveva essere un gran che come tiratore, altrimenti invece di accontentarsi di picchiarla l’avrebbe senz’altro tolta di mezzo altrimenti, sempre a proposito di gente che spara e se la cava.
Secondo i giornali Marianna Pepe la sera prima della morte sarebbe stata picchiata violentemente dall’ex compagno e, probabilmente, davanti al figlio di lei, di cinque anni. Per sfuggire alle botte, con il piccolo, ha chiesto ospitalità a un amico. A casa di questi la donna avrebbe assunto cocaina e probabilmente farmaci. Poche ore dopo è morta. Secondo primi risultati delle indagini la morte della donna potrebbe essere stata causata dall’assunzione contemporanea di farmaci e alcolici, ma sarà l’autopsia […] ad accertare le ragioni esatte del decesso.
Il tasso melaninico delle splendide persone coinvolte, da un manesco come ce ne sono a milioni a un “amico” che per prima cosa offre cocaina e farmaci a una che gli piomba in casa in quelle condizioni, non è politicamente sfruttabile e la notizia passa sotto relativo silenzio.
Altrettanto indubbio è che la propensione a pessime abitudini e a pessime frequentazioni imperversa anche in quegli ambienti che la propaganda governativa presenta come connotati da una costruttiva salubrità di vita.
Mica stiamo parlando del centro sociale dietro casa.

Io sparo e me la cavo – 3

Io detengo legalmente diverse armi.
Tu detieni legalmente diverse armi.
Egli detiene legalmente diverse armi.
Noi deteniamo legalmente diverse armi.
Voi detenete legalmente diverse armi.
Essi detengono legalmente diverse armi.

Io sono povero in canna e non posso pagare il mutuo.
Tu sei povero in canna e non puoi pagare il mutuo.
Egli è povero in canna e non può pagare il mutuo.
Noi siamo poveri in canna e non possiamo pagare il mutuo.
Voi siete poveri in canna e non potete pagare il mutuo.
Essi sono poveri in canna e non possono pagare il mutuo.

Arma legale più mutuo da pagare fanno un perito da ammazzare.

Sparare per primi significa cavarsela.
Beh, quasi.

Nella caotica e vitale metropoli di Portacomaro d’Asti Dario Cellino si è trovato nei pasticci coi soldi a novantun anni, a quanto sembra dopo una vita di lavoro come mobiliere. Nella casa che gli volevano pignorare c’erano un legalissimo fucile e tre legalissime pistole. Dalla foto non si capisce se c’era anche il cane nella resede, con relativo cartello “Attenti al cane e al padrone”.
In ogni caso, per mettere fine ai giorni di Marco Carlo Massano, quarantaquattro anni e tre figli, è bastato il padrone.

Io sparo e me la cavo – 2

Cosa si fa se si è orfani, soli al mondo e senza nessuno che ti rivolga la parola da un anno all’altro (e magari c’è anche il suo bravo motivo)?
Ci si licenzia dal lavoro, si racconta qualche balla qua e là per contentare i curiosi e ci si chiude in casa.
Unica compagna sempre più fedele -ed è anche il minimo- resta la bottiglia.
Ah, e una Beretta 98, capitata fra le mani in un momento di noia e regolarmente denunciata, ci mancherebbe altro.
Poi la casa vicina passa di padrone, e i padroni nuovi fanno qualche lavoretto.
Che bello! Finalmente si può piantare qualche grana con i tubi delle caldaie e le fosse biologiche che ci si rifiuta di pagare. Ci sono i tribunali intasati da cause su questioni ben meno importanti: perché mai non dare il proprio contributo a quella che è una vera e propria gloria nazionale criticando, supponendo, vagliando, confrontando e giudicando?
Ma i vicini continuano, con tanti saluti alle critiche, alle supposizioni (per tacere delle supposte), dei vagli, dei confronti e dei giudizi.
Non solo vanno avanti con i lavoretti, ma fanno anche rumore.
Di quei rumori che lacerano timpani e borsa scrotale, proprio.
E cosa si fa se non si sopportano i rumori dei vicini?
Una persona razionale, seria, quadrata e tutta d’un pezzo[*] non ha né dubbi né esitazioni.
Li va a cercare una domenica mattina con la Beretta 98 e gli vuota addosso mezzo caricatore.
Ammazzandoli come cani.

[*] E che pezzo.