Il 27 settembre 2018 in provincia di Lecce qualcuno ha sparato e se l’è cavata.
Il minuscolo Roberto Pappadà (probabile correzione di un dignitosissimo Papadopoulos cui suo nonno fu obbligato all’anagrafe quando c’era LUI con i suoi treni che partivano in orario) doveva avere una vita tetra e ripetitiva, tra sorella da accudire e lavoro che c’era e non c’era.
In un momento di noia, nella ancora assolata ancorché tranquilla località salentina di Cursi ha risolto l’intricato, annoso e angosciante problema di parcheggio che aveva col vicino spedendo fra i più lui e altri due parenti a mezzo pistola di grosso calibro.
Fatti due conti, è verosimile supporre che si sia fermato a tre morti e un ferito solo perché aveva esaurito i proiettili che c’erano nel tamburo.
Non è dato sapere se possedesse un cane: in questo caso il cartello “attenti al cane e al padrone” con sotto il disegnino di una .357 magnum, quello che i pensionati ringhiosi appendono al cancello di casa per far desistere dall’intento chi volesse far loro visita per liberarli da quella cazzo di argenteria inutile e pacchiana ereditata da odiatissimi parenti morti schiantati da decenni, avrebbe senza dubbio avuto ragione di essere.
Da Matteo Salvini, l’onnipresente e onniciarlante ministro dell’interno sovrappeso, divorziato, incapace di laurearsi persino in sedici anni e dal curriculum lavorativo irreperibile, non è venuto neanche un bah.
Forse sta aspettando che le registrazioni delle telecamere di zona spuntate come amanite falloidi da una decina d’anni a questa parte restituiscano l’immagine di qualche ambulante senegalese cui tentare di addossare un qualche ruolo.
Ma anni fa -pardon, mesi fa- avrebbe inondato internet e gazzette cianciando di terroni lerci e fancazzisti che si inculano le figlie e mangiano il sapone, auspicando un lavacro di fuoco da parte del Vesuvio.